Andrea Monti

  • Andrea Monti, - a.monti@amonti.eu Avvocato, si occupa di bioinformatica, diritto delle telecomunicazioni e delle tecnologie dell'informazione.
  • Già componente del gruppo ITA-PE e poi del Comitato esecutivo della Naming Authority italiana, è past-president di ALCEI (Associazione per la Libertà nella Comunicazione Elettronica Interattiva).
  • Svolge regolarmente attività accademica.
  • È l'ideatore della Italian Biotech Law Conference, giunta - nel 2007 - alla terza edizione. Ha collaborato e collabora con diverse università (in particolare, con quelle di Chieti e di Milano) e ha pubblicato i suoi articoli su riviste scientifiche internazionali e italiane.
  • Ha presentato relazioni in convegni organizzati in USA, Inghilterra, Francia, Belgio, Repubblica Ceca, Svizzera, Bulgaria.
  • Ha effettuato docenze su computer crime e diritto d'autore per le scuole delle Camere penali, e per le strutture di formazione delle forze di polizia come l'Istituto superiore della Polizia di Stato, il Centro addestramento Polizia postale, il Centro nazionale amministrativo dell'Arma dei Carabinieri.
  • Giornalista-pubblicista, cura sulla testata PC Professionale una delle più longeve rubriche italiane che si occupano di rete e di legge.
  • Articoli e interviste su questi temi sono stati pubblicati dai maggiori quotidiani e periodici italiani, come La Repubblica e IlSole24Ore.
  • Ha scritto per l'editore Apogeo insieme a Stefano Chiccarelli il libro "Spaghetti Hacker" e "Segreti, spie, codici cifrati" con Enrico Zimuel e Corrado Giustozzi.
  • Sempre per Apogeo ha curato la traduzione italiana del libro di Alan Cooper "The inmates are running the asylum" edito con il titolo "Il disagio tecnologico".
  • Per Hops editore, insieme a Alessia Ambrosini, ha scritto "Trademark online".
  • Il suo blog www.ictlex.net - dove raccoglie riflessioni e materiali sul diritto, sulla politica e sulla cultura della rete fin dal 2000 - è stato premiato da Reporter sans frontiéres con il Freedom Blog Award 2005.

Internet: quando le regole “dal basso” piovono “dall’alto”

"Questo testo è copyfree. E' liberamente riutilizzabile per uso personale, con l’unico obbligo di citare la fonte e non stravolgerne il significato"

Andrea Monti

INTRODUZIONE

Con una frequenza oramai allarmante la "ontologizzazione" della tecnologia - e dell'internet, per quanto ci interessa in questa sede - condizionano le strategie economiche, le analisi (non solo) politiche e le scelte normative.

Sembra proprio, in altri termini, che sia diffusa la convinzione che da qualche parte esista un "Mr. Internet" dotato di autonoma esistenza e individualità, in grado di sovvertire le regole del mercato e di rendersi responsabile dei crimini più efferati - dall'eversione alla perversione. Analogamente, dunque, "Mr. Internet" può ben essere il destinatario di anatemi, crociate e leggi ad personam.

La "personificazione" dell'internet rende la vita del repressore molto più semplice. Nessuno prenderebbe sul serio chi proponesse - o invocasse - una legge per vietare la pubblicazione di manuali universitari di chirurgia o anatomia. Ben altro accadrebbe se le stesse identiche informazioni fossero rese disponibili tramite qualche newsgroup o qualche sito web non accademico e qualche "associazione di consumatori" scandalizzata dal disgusto provocato dalle immagini in questione ne chiedesse la distruzione. In questo caso, infatti, chi chiedesse di rimuovere per legge quelle informazioni "pericolose" troverebbe sicuramente moltissime persone disposte ad ascoltarlo.

"Dare la colpa all'internet" per legittimare censura e repressione - o per giustificare la necessità di nuove leggi - è un vero e proprio atto di disonestà intellettuale e di pavidità politica. Conseguenza inevitabile di questo presupposto culturale è stata la proliferazione di quella che Isaac Asimov chiamò la "Sindrome di Frankestein " [1]. Nel corso degli anni questa "patologia" si è manifestata nelle forme più svariate, dai tracolli economici (peraltro ampiamente prevedibili) [2], a una repressione bieca e ignorante [3]. Non che questo sia accaduto out of the blue: le avvisaglie del futuro prossimo venturo furono denunciate fin dagli anni '90 [4], ma senza suscitare alcuna apprezzabile reazione persino in quella sottile "fetta" di intellettuali e politici che sembravano meno disattenti alla realtà circostante.

MR. INTERNET... CHI È COSTUI?

Ovviamente, non esiste un "Mr. Internet" e non c'è alcuno "spettro nel computer" che minaccia la nostra esistenza. Esistono soltanto - ma è già abbastanza - emuli di Torquemada, di Pinochet e dei Robber Baron che usano gli strumenti a loro disposizione [5] per proteggere la propria esistenza e perseguire i loro loschi fini.

Ci sono masse di delinquenti che hanno semplicemente adattato il loro modus operandi alle opportunità rese possibili da nuovi strumenti [6]. E ci sono politici che hanno mostrato tutta la loro insufficienza culturale nel confrontarsi con un potentissimo strumento, cercando di bloccare a ogni costo le nefaste - per loro - conseguenze della circolazione libera di informazioni (vale a dire la possibilità del controllo democratico diretto).

Come scriveva nel 1996 Giancarlo Livraghi, "parte spesso da costoro il concetto di una società in pericolo, di una rete affollata di hacker e pirati, o peggio ancora (che cosa terribile!) di opinioni liberamente diffuse che danno voce anche alle minoranze, al dissenso, o comunque a quel "profano volgo" cui finora era solo consentito di inchinarsi tremante davanti al potere di chi tiene le chiavi della Legge (e dell'informazione) ." [7]

Queste considerazioni non devono, in realtà, stupire più di tanto se ancora nel 2002 era possibile rilevare che: "Italy's legal and political system doesn't have a sound tradition of understanding technology, science and innovation. This is a country that started recovery from "practically zero" at the end of World War Two. It was still basically an agricultural economy, its (limited) industrial resources were destroyed. As late as 1960 there was still a high rate of illiteracy. Technological development was far behind most of Western Europe. "Of course there were, and there are, leading personalities in the world of science and technology. And there are Italian companies, large and small, with strong technological advancement in their specific fields. But in the world of politics and law, and in a large part of the academic establishment, there never was an osmosis between the development of science and technology and the perception of government, legislation and society. Old-fashioned ideas, dating back to Italy's pre-industrial culture, still influence the thinking of people in government and parliament - as well as schools, the intellectual élite and a large part of the citizenship. This environment has favored the lobbying pressures by major economic forces that have been able to influence legislation (and, to some extent, public opinion) in favor of their private interests, at the expense of civil rights and freedom of expression." [8]

Benché siano trascorsi quasi dieci anni, le considerazioni appena riportate conservano appieno la loro attualità (come dimostrano i recenti dati pubblicati nel Sesto Rapporto CENSIS del dicembre 2006) e forniscono una chiave di lettura per spiegare gli sviluppi recenti - a livello globale - delle strategie repressive dei poteri pubblici.

Horror vacui

Dal punto di vista del "potere" in senso lato, gli elementi più destabilizzanti introdotti dalla diffusione delle tecnologie della comunicazione sono, innanzi tutto, l'impossibilità di prevedere da dove arriverà il prossimo "oggetto volante" e l'estrema difficoltà di capire se sia una minaccia, un'opportunità [9] o una bufala.

Altro fattore "eversivo" è la possibilità di creare network di persone che possono far circolare informazioni e contenuti [10] in gran quantità - a volte illegali, molto più spesso semplicemente "sgradite" - oltre che creare servizi che si "appoggiano" a quelli offerti dalle grandi imprese e che sfuggono alla regolamentazione vigente [11].

A CHE SERVE LA LEGGE?

Dunque, lo scenario che si presenta può essere descritto in questo modo: da un lato c'è un oceano di informazione che fluisce liberamente e senza una reale possibilità di incanalamento. Dall'altro ci sono pubblici poteri che percepiscono la pericolosità dell'essere - forse per la prima volta nella storia - direttamente controllabili da parte dei cittadini.

Non stupisce che trovandosi in una posizione scomoda, potenzialmente in grado di realizzare la favola del "Re nudo" i "grandi poteri" - ma anche i burocrati locali - cerchino di fare di tutto per ritornare nell'ombra e continuare i loro maneggi, lontani dal fastidio di dover rendere immediatamente conto del loro operato. È evidente che la soluzione finale a un problema del genere passa per l'eliminazione culturale e giuridica della possibilità per le persone di aggregarsi in gruppi di pressione.

Il primo obiettivo è perseguito con la "televisionizzazione" dell'internet. Cioè con l'appoggio alla realizzazione di piattaforme di distribuzione di contenuti passivi (dal web, al video on demand, alla internet TV) e dunque con l'eliminazione sistematica delle componenti interattive della rete che consentono, appunto, forme di aggregazione politica e civile. Il secondo obiettivo è perseguito con la asserita necessità di prevenire minacce - presunte o costruite a tavolino - che si traduce nel tentativo di regolamentare, imbavagliare e imbrigliare quello che sfugge al controllo.

E qui casca l'asino: i tempi normalmente richiesti per l'emanazione di nuove leggi sono troppo lunghi rispetto alle necessità immediate - dal tacitare la "piazza" al "dire qualcosa" - del politico di turno o del componente dell'Esecutivo. Bisognava dunque trovare un sistema rapido ed efficiente.

LE REGOLE DAL BASSO CHE ARRIVANO DALL'ALTO

La soluzione giuridica al problema è rappresentata dal diffuso ricorso ai "codici deontologici" e alla "autoregolamentazione" fortemente auspicato anche dall'Unione Europea. E dunque il potere politico prende la palla al balzo e sfrutta questo Cavallo di Troia per interagire direttamente con il mondo delle imprese imponendo - al di là di leggi e competenze - ciò che vuole [12].

Il prototipo di questa strategia manipolativa arriva dagli Stati Uniti [13], ed è stata poi applicata - peggiorandola - anche in Italia. Fin dal 2005, grazie al discutibile credito attribuito a "statistiche" [14] sui fenomeni illeciti commessi tramite l'internet a una malintesa interpretazione del concetto di "autoregolamentazione", i ministeri dei beni culturali e delle comunicazioni stanno di fatto condizionando le imprese e i diritti degli utenti senza che il Parlamento possa - o voglia - minimamente intervenire.

Come è noto l'autoregolamentazione - nota anche come "autodisciplina" - è una sorta di "trattato privato" che le aziende di un determinato settore decidono spontaneamente di predisporre e firmare. Lo scopo dell'autodisciplina è quello di dare alle imprese delle regole comuni di comportamento, andando a colmare dei vuoti normativi o estendendo leggi più favorevoli anche a situazioni in cui questo si potrebbe evitare.

L'autodisciplina, inoltre, serve a mettere a disposizione dei soggetti interessati (consumatori compresi, dunque) uno strumento agile, imparziale e competente per decidere su controversie che se fossero trattate in un contenzioso ordinario sarebbero risolte in tempi molto più lunghi e senza la ragionevole certezza che il magistrato incaricato possieda le effettive cognizioni per decidere su materie molto particolari.

Se escludiamo le "procedure di riassegnazione" per i nomi a dominio .it che non possono essere considerate frutto di autoregolamentazione per via dell'incerto statuto giuridico dell'intero sistema di gestione del Registro italiano [15], il caso più antico e importante di autoregolamentazione è il Giurì dell'autodisciplina pubblicitaria.

Questo organo, creato per volontà delle stesse imprese che operano nel settore della comunicazione, ha acquisito da subito estrema autorevolezza perchè le imprese ne avevano capito l'utilità - specie per quanto riguarda il delicato problema della "certificazione" della competenza tecnica del soggetto chiamato a decidere.

Fin qui nulla di strano dunque, anzi il modello appena descritto sembrerebbe il vero e proprio "uovo di Colombo" per risolvere molti problemi del settore internet e TLC. E invece, la versione moderna della "autoregolamentazione" diventa "co-regolamentazione", un eufemismo del politichese che - in pratica - significa ingerenza dell'esecutivo nella gestione di un comparto industriale e - indirettamente - emanazione di regole per i cittadini vincolanti al pari di una legge.

"auto" E "co": PREFISSI DIVERSI, STESSO SIGNIFICATO?

Il "padre ignobile" delle "auto-co-regolamentazioni" è sicuramente il famigerato "Patto di Sanremo" [16] risalente al 2005 ufficializzato dai ministeri dei beni culturali, dell'innovazione e delle comunicazioni e che chiedeva a internet provider, titolari dei diritti d'autore e piattaforme di distribuzione, la predisposizione di "codici deontologici" per la "lotta alla pirateria". In realtà l'obiettivo di quel codice era imporre - o meglio, far si che i fornitori di servizi internet "spontaneamente" decidessero - di favorire le azioni giudiziarie promosse dai titolari dei diritti d'autore contro i propri clienti.

Il "Patto di Sanremo" fu oggetto di una interrogazione parlamentare al ministro Rutelli (alla quale non sembra sia ancora arrivata risposta), in cui si esprimeva preoccupazione per la mancanza di "effettiva e concreta trasparenza nella predisposizione di atti normativi o para-normativi, nonché una partecipazione diretta aperta anche alle associazioni di utenti e cittadini" e del rischio che il sistema dei codici di autoregolamentazione "ispirati" dall'esecutivo "rischino di sottrarre o facilitare la sottrazione della podestà legislativa del Parlamento ." [17]

Si serve dello stesso metodo anche il Ministero delle comunicazioni che promosse (con l'on. Gasparri) la predisposizione del codice deontologico "Internet e minori" e nel quale si registrò il tentativo di far passare come "autoregolamentazione" l'adozione di sistemi per la verifica automatica dell'età di chi utilizzava determinati servizi e che presupponeva un articolato sistema di classificazione di contenuti - filtraggio della navigazione, insomma e potenziale schedatura.

Cambiano le maggioranze, ma i metodi restano: siamo a luglio 2007 e il Ministero conferma in una intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica che il "codice internet e minori" confluirà in una nuova "autoregolamentazione" chiamata "media e minori". "Vogliamo lavorare a braccetto con le aziende senza imposizioni" si legge in un occhiello dell'articolo [18].

Excusatio non petita, imputatio manifesta dicevano i latini. Fatto sta che circa un mese prima dell'articolo pubblicato da Repubblica, lo stesso Ministero delle comunicazioni aveva "caldamente suggerito" ai fornitori di accesso all'internet di rendere irraggiungibile dall'Italia un sito tedesco che ospitava contenuti - certo - semplicemente inaccettabili e vergognosi, ma la cui rimozione sarebbe eventualmente stata dovere della magistratura (nemmeno italiana, peraltro). Non certo di un "decreto orale" del Ministero.

Un comportamento incredibile, degno delle peggiori teocrazie occidentali e medio-orientali, ma che è passato praticamente inosservato ancora una volta grazie all'associazione fra "Mr. Internet" e "i pedofili".

DATI PERSONALI E CODICI DEONTOLOGICI: UN'ALTRA FACCIA DEL PROBLEMA

Se "Patto di Sanremo" e "Media e minori" sono frutto di "attività" politiche, e sono privi, sulla carta almeno, di meccanismi sanzionatori seri, i "codici deontologici" previsti dalla disciplina sul trattamento dei dati personali sono contenuti in un decreto legislativo e quindi "devono" essere emanati. Inoltre, una volta entrati in vigore, diventano punto di riferimento per l'applicazione anche delle sanzioni penali previste dal Codice dei dati personali.

Giornalisti, banche, assicurazioni, investigatori privati e anche "fornitori di servizi di comunicazione elettronica" sono letteralmente "obbligati ad autoregolamentarsi" con il Garante per la protezione dei dati personali che funge da semplice "notaio" e verifica che i codici non violino la legge. Nella realtà dei fatti, invece, il Garante gioca una parte attiva nella definizione dei contenuti dei codici in questione.

E dunque il risultato finale non cambia: anche in questo caso le regole che dovrebbero essere spontaneamente definite da chi opera sul campo sono fortemente condizionate da un soggetto pubblicistico, per di più autonomo rispetto al Parlamento e all'Esecutivo.

CONCLUSIONI: VERSO LO STATO ETICO

Già a livello semantico il ricorso sistematico ed esagerato a termini quali "deontologia", "buona condotta" e "co-regolamentazione" evidenzia chiaramente l'orientamento di chi controlla il potere esecutivo e le altre "leve": stabilire autarchicamente cosa sia "buono" e "giusto" a prescindere dal diritto positivo e dal sistema del bilanciamento dei poteri caratteristico di uno Stato democratico.

Quando si persegue un "fine superiore" non si può essere intralciati da qualche cavillo da leguleio, e se le norme non sono state scritte in modo abbastanza "flessibile", devono essere semplicemente ignorate. E in tutto questo "Mr. Internet" è soltanto la scusa per mettere mano a temi altrimenti intoccabili.

Almeno per un attimo, allora, proviamo ad elencare le questioni aperte e sottintese ogni volta che si parla di "Mr. Internet", ma senza far riferimento ad aspetti tecnologici:

  • Perché lo Stato impedisce la libera circolazione di informazioni imponendo filtri e controlli immotivati?
  • Perché lo Stato, utilizzando tecnologie costose, inutili e inefficienti costringe i cittadini a spendere di più (anche indirettamente, con le tasse) per usufruire di servizi pubblici che sono già "pagati" dal prelievo fiscale?
  • Perché lo Stato consente di censurare contenuti senza che questo sia stabilito da una legge o da un magistrato?
  • Perché lo Stato, invece di punire chi vìola effettivamente la legge, decide preventivamente "cosa è meglio" per ciascuno di noi?

Già... perché?

NOTE

[1] Pippo Battaglia rileva acutamente che la vera essenza della sindrome di Frankenstein, di assistere a quel che più temiamo: vedere una macchina divenire indipendente dal creatore. Battaglia, P. L'intelligenza artificiale. Dagli automi ai robot «intelligenti», Torino, 2006 p.3.

[2] Come la famigerata internet bubble che “vaporizzò” miliardi di dollari sui mercati borsistici di tutto il mondo. Vedi Livraghi, G. I postumi della bolla in Il mercante in rete n. 56 - http://gandalf.it/mercante/merca56.htm#heading01 e anche dello stesso autore Il potere della stupidità, Pescara II ed. 2007.

[3] Basta citare, fra tutti la vergognosa strumentalizzazione delle violenze sui minori. Un problema grave che è servito - con la legge 269/98 prima e con la “legge Prestigiacomo” poi - per ampliare i poteri di polizia e imporre filtraggio di contenuti e schedature. Senza che, ovviamente, le vere vittime delle violenze, i minori abusati, siano stati effettivamente meglio tutelati.

[4] Atti del convegno "Internet: libertà e censura" CGIL Nazionale - Ufficio Nuovi Diritti Roma, 22 luglio 97 - http://www.cgil.it/org.diritti/internet/22LUGLIO/22LUGLI O.htm

[5] Peraltro, non è nemmeno detto che gli strumenti di controllo attualmente disponibili - internet compresa - siano necessariamente più efficienti o funzionali di quelli disponibili nel passato. Prima e durante la Guerra Fredda, le strutture di polizia politica dei due blocchi riuscivano benissimo a tenere sotto controllo “sospetti”, “simpatizzanti” e spie. Sui metodi praticati in Germania Est dalla STASI prima dell’avvento dell’informatica, vedi, per esempio, Wolf, M. Memoirs of a Spymaster Pimlico, 1998.

[6] Tanto per fare un esempio, il famigerato “419 scam” altresì noto come “Nigerian Scam” era ampiamente praticato anche prima della posta elettronica, sfruttando oltre all’ìmbecillità delle persone, fax e telefoni.

[7] Livraghi, G. Cassandra - http://gandalf.it/free/cass.htm

[8] Livraghi G. - Monti A. The Network Society as Seen From Italy in The Information Society 1 May 2002, vol. 18, no. 3, pp. 165-179.

[9] Indicativa, in questo senso, la vicenda legata alla diffusione del software open source e su cui si rinvia a ALCEI – È compito delle istituzioni pubbliche liberarci dalla schiavitù elettronica - http://www.alcei.it/?p=48

[10] È veramente indicativo, a tal proposito, il caso dell’esclusione di Furio Colombo dalla candidatura alla segreteria del nascituro Partito Democratico, che è stata possibile proprio grazie all’analfabetismo tecnologico del candidato e dei suoi sostenitori. Per quanto la motivazione del “comitato dei saggi” - i fax non sono sufficientemente “probanti” - sia giuridicamente sbagliata, se Colombo avesse chiesto di utilizzare quantomeno la firma digitale il problema della validità della sua candidatura non si sarebbe nemmeno posto. “it would have been entirely possible to run for the Democratc Party board by handling a digital electoral campaign. Why, then, Mr. Colombo didn’t use it? Complex answer for a simple question. The deadly mixture of legislator’s lack of competence and Certification Entities wrongly aimed lobby efforts created a poisoned cocktail that almost killed the possibility to have these technologies at handy for the “average” citizen. BTW, nobody seemed really care to actually enhance the use of digital signature and certified e-mail through the citizenship.” così Monti, A. Italian Democratic Party’s Competition: faxes aren’t good enough to support a candidate in Digital Thought - http://blog.andreamonti.eu/?p=37

[11] Il caso più eclatante è sicuramente quello di Skype. Il fatto che - a differenza di altri sistemi VoIP - Skype offra gratuitamente dei veri e propri criptotelefoni software sta creando preoccupazioni e imbarazzi sia fra gli operatori (che vorrebbero poter “chiudere” le proprie reti al traffico di questo tipo perché non genera alcun utile e carica eccessivamente la banda passante a disposizione dei clienti), sia fra i poteri pubblici (preoccupati di non poter intercettare liberamente quello che circola in rete). Vedi anche sul punto Clarkson, A. Network Neutrality in ICTLEX BRIEFS n. 4/06 - http://www.ictlex.com

[12] Non che le imprese siano sempre e solo dei poveri succubi dei governi. Nel 2004 le grandi imprese IT cominciano a progettare l’implementazione su larga scala di sistemi di Digital Right Management a livello hardware con la scusa di “proteggere la proprietà intellettuale” ma contribuendo, in realtà, a creare mercati chiusi e problemi per gli utenti. Ecco il comunicato stampa dell’epoca: HP Announces Digital Entertainment Strategy with New Products and Partnerships Across Music, TV and Movies - http://www.hp.com/hpinfo/newsroom/press/2004/04010

Il prototipo di questa strategia manipolativa arriva dagli Stati Uniti13, ed è stata poi applicata - peggiorandola - anche in Italia. Fin dal 2005, grazie al discutibile credito attribuito a “statistiche”14 sui fenomeni illeciti commessi tramite l’internet a una malintesa interpretazione del concetto di “autoregolamentazione”, i ministeri dei beni culturali e delle comunicazioni stanno di fatto condizionando le imprese e i diritti degli utenti senza che il Parlamento possa - o voglia - minimamente intervenire. Come è noto l’autoregolamentazione - nota anche come “autodisciplina” - è una sorta di “trattato privato” che le aziende di un determinato settore decidono spontaneamente di predisporre e firmare.

Lo scopo dell’autodisciplina è quello di dare alle imprese delle regole comuni di comportamento, andando a colmare dei vuoti normativi o estendendo leggi più favorevoli anche a situazioni in cui questo si potrebbe evitare. L’autodisciplina, inoltre, serve a mettere a 8a.html - Comunicato stampa del 4 ottobre 2004 - Intellectual Property: As part of its overall digital entertainment strategy, HP is taking a strong stance on protecting the intellectual property of artists and creators of content. Starting today, HP is stepping up its commitment to building, acquiring or licensing the best content protection technologies for HP devices that will set secure copyrights without sacrificing great consumer experiences - and will strive to build every one of its consumer devices to respect digital rights. For example, HP will build support for a technology called Broadcast Flag into its TVs, media hubs and Media Center PCs in products rolled out after June. The Broadcast Flag signals that the content must be protected and cannot be shared indiscriminately over the Internet. The technology does not prevent consumers from making multiple copies of digital content and sharing it within a home network or storing it on physical media such as DVDs.

Nel 2005 ha suscitato molto rumore il caso Sony-BMG, in cui l’azienda ha utilizzato un software potenzialmente pericolo per proteggere i CD musicali dei quali detiene i diritti, senza avvisare gli utenti della sua esistenza. Vedi Nella frenesia dei tentativi di impedire la riproduzione di musica, la Sony BMG Entertainement diffonde software pericolosi http://www.alcei.it/?p=106

[13] Nel 2004 da Adobe che su richiesta delle istituzioni finanziarie americane aveva incorporato in Photoshop dei sistemi anticontraffazione di cui gli utenti - trattati loro malgrado da potenziali falsari - erano stati tenuti all’oscuro. Vedi Bridis, T. Adobe Says It Uses Anti-Counterfeiting Technology in The Washington Post E.03 - 10 gennaio 2004. “Experts said the decision by Adobe represents one of the rare occasions when the U.S. technology industry has agreed to include third-party software code into commercial products at the request of government and finance officials.” e il messaggio pubblicato sul forum degli utenti Adobe che segnalava il problema http://www.adobeforums.com/cgibin/ webx?13@215.1oTzbbQUVVh.0@.2ccf3d27

[14] Sull’abuso delle statistiche vedi Huff, D. How To Lie With Statistics ed. it. Mentire con le statistiche Pescara, 2007 e ibidem nelle aggiunte all’edizione italiana per alcune analisi dedicate specificamente ai mezzi di comunicazione.

[15] Il caso delle problematiche connesse alla gestione dei nomi a dominio del ccTLD .it. è emblematico del disinteresse politico verso temi critici ma scomodi e non “alla moda”. Per anni - e in parte ancora oggi - le strutture pubbliche del CNR sulle quali si appoggia il Registro del ccTLD.it sono state gestite in violazione di legge (basta pensare al mancato rispetto della disciplina sul trattamento dei dati personali in rapporto al Whois).

Nonostante il fatto fosse ampiamente noto, il Garante dei dati personali non ha mai adottato alcun provvedimento. Nel 2000 solo all’indomani della registrazione da parte di terzi di alcuni nomi a dominio di illustri politici, il governo - nella persona del senatore diessino Stefano Passigli si affrettò a presentare un disegno di legge inutile e confuso al quale nessuno diede - fortunatamente - seguito. Nello stesso tempo, però, nessun governo (passato e presente) ha mai voluto seriamente occuparsi dei gravi problemi legati alla gestione del Registro italiano.

[16] Cammarata, M. Utenti canzonati nel patto della canzonetta in Interlex del 7 marzo 2005 - http://www.interlex.it/copyright/sanremo.htm

[17] Interrogazione Acerbo-Folena del 20 giugno 2006 a risposta scritta al Ministro dei beni culturali http://www.interlex.it/copyright/interr_patto.htm

[18] Vedi Longo, A Minori, arriva un codice per tutti i media in La Repubblica del 22 luglio 2007 p. 22

Aspetti giuridici IGF 2007
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