A cura di Giorgio Giunchi Joy Marino Stefano Trumpy
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Presentazione 04 Giugno 2014 Roma Camera dei Deputati

2. e-democracy

È l’era della democrazia elettronica

bio

Arturo Di Corinto

  • Quando negli anni ‘80 si cominciò a parlare di democrazia diffusa, telematica e dal basso, quelli dell’utopia californiana, di Wired e della community The Well di Howard Rheingold, associavano alla e-democracy, la democrazia elettronica, il potere liberatorio di emanciparsi da una casta di professionisti della politica e di autorappresentare senza mediazioni le istanze derivanti dal popolo.
  • Era l’apice delle user conferences su Internet e delle reti civiche comunitarie negli agglomerati urbani statunitensi, e la possibilità per tutti di discutere su tutto sembrava prefigurare la nascita di una nuova sfera pubblica, con regole e strumenti propri.
  • L’utopia che le tecnologie allora emergenti potessero aprire nuovi spazi di democrazia era la stessa che aveva accompagnato la diffusione del cinema, della radio e della televisione (e sappiamo come è finita: fusioni, concentrazioni, monopoli).
  • Anche la Politica rimase affascinata da questa prospettiva ritenendo che l’opportunità per i cittadini di esprimersi sui temi del vivere civile fosse la soluzione al calo di partecipazione democratica.
  • Maturando la tecnologia e crescendo l’attitudine culturale a suo utilizzo, cominciò a farsi strada l’idea che essi potevano essere lo strumento per una democrazia attiva, informata e perennemente costituente in grado di influire in maniera inedita sulla sfera del politico.
  • Nel nostro paese se ne è parlato molto e basta rileggere Stefano Rodotà (1996) e Franco Carlini (1996), per farsene un’idea.
  • Il punto è che solo questa prospettiva, l’e-democracy intesa come un processo in cui le applicazioni della tecnica accompagnano e potenziano il metodo democratico, ci consente di parlare propriamente di “democrazia elettronica”, cercando di capire cos’è Internet e come può essere uno strumento di democrazia, dall’altra parte ragionando su cosa si debba intendere per democrazia.
  • Iniziamo col dire che l’e-democracy non è la scelta fra due opzioni date e definite dall’alto: non è il referendum elettronico; non è l’utilizzo delle macchinette digitali in sostituzione di carta e matita nelle consultazioni elettorali: non è l’e-voting; non è neppure la concessione di spazi di discussione ai cittadini da parte dei loro rappresentanti istituzionali.
  • Non è neppure l’e-government, il governo elettronico che eroga servizi amministrativi e di quando in quando chiede l’opinione dei cittadini-sudditi, pur con strumenti nuovi, si chiamino Ideascale o in un altro modo.

La “democrazia dei pareri”

  • Blog, siti, giornali online fatti dai lettori, forum e i social network, rappresentando una esigenza vasta e diffusa di partecipazione, sono divenuti terreno di coltura di una nuova sfera pubblica fatta di pareri, opinioni, commenti e petizioni.
  • Eppure influiscono sulla cosa pubblica solo e fintanto che il legislatore se ne sente coinvolto e controllato.
  • La domanda da porsi è quindi: “Migliorano la democrazia? E come?”
  • È stato detto che il primo movimento ad usare la rete per iniziative di massa in grado di influenzare la politica è stato il Popolo Viola, che organizzò la famosa manifestazione per chiedere le dimissioni di Berlusconi il 5 novembre del 2009, ottenendo una vasta eco mediatica e perfino l’attenzione delle istituzioni europee e della stampa internazionale.
  • In realtà la prima grande manifestazione di piazza convocata attraverso Internet risale al 30 novembre 1999 a Seattle, data d’origine del movimento alterglobalista (cosiddetto “noglobal”) ma, ancora prima si ricordano le mobilitazioni di piazza convocate attraverso la rete a sostegno dell’esercito zapatista di liberazione nazionale (EZLN), quando la protesta digitale viaggiava non attraverso i nodi di Internet, ma quelli dei Bbs indipendenti.
  • Poi sì è molto parlato delle insurrezioni maghrebine del 2010-2011, come paradigma di una democrazia prossima ventura per via della diffusa capacità dei cittadini nordafricani ad usare Internet per autorappresentarsi, coordinarsi e costruire piattaforme rivendicative.
  • Che non abbiamo assistito ad una “rivoluzione” e all’innesco di un reale processo di cambiamento democratico lo si vede ora che assistiamo a rinnovate tensioni in quei paesi e alla restaurazione dei vecchi poteri.
  • Nel caso della Tunisia, dell’Egitto, della Libia e di altri paesi dove gli “insorti” hanno usato efficacemente Internet c’è stata un’importante interazione tra mezzi di comunicazione digitale personale (telefonini, telecamere, computer), social network come Facebook, piattaforme di microblogging come Twitter, social media come Youtube, e i mezzi di comunicazione di massa tradizionali come le televisioni arabe (Al Jazeera, Al Arabya).
  • Queste complesse interazioni hanno influenzato la forma delle proteste e indirizzato la loro direzione, creato consenso nei media occidentali e favorito una retorica deterministica del loro potenziale di cambiamento, ma non hanno cambiato la società.
  • Si è anche parlato a lungo di democrazia elettronica coltivando l’illusione che un uso orizzontale della rete mettesse tutti in condizione di competere ad armi pari nell’agone elettorale.
  • Ma nella gara per la conquista del consenso elettorale vince chi ha più fondi ed è meglio organizzato anche su Internet (Bentivegna, 2005, 2013).
  • Possiamo tuttavia sostenere che l’uso degli strumenti informatici e digitali abbia tirato la volata a Barack Obama e prima ancora, a Howard Dean, sconosciuto governatore del Vermont.
  • Dean con pochi soldi e uno sparuto gruppo di sostenitori, riesce a utilizzare efficacemente la rete per raccogliere fondi, mobilitare le masse e contribuire alla stesura del programma elettorale.
  • Non viene eletto. Obama, vince le presidenziali, ma lo fa da Governatore uscente dell’Illinois sostenuto da media moghul, dalle aziende della Silicon Valley e spopolando sulle reti via cavo. Tutti esperimenti che hanno modificato la cultura della partecipazione democratica ma non hanno cambiato né i sistemi di voto né le regole della rappresentanza.
  • Ovvio: la democrazia è un processo in cui la possibilità di esprimersi secondo delle regole è il fondamento di un processo di dialogo e di consultazione ma per essere tale deve arrivare ad una deliberazione.

I media civici

  • Oggi questo processo può essere assolto dai “media civici”, piattaforme elettroniche per l’informazione, la discussione e la deliberazione online su tutti i temi che riguardano la gestione della Res Publica.
  • La definizione di media civici si è diffusa in Italia in seguito al lavoro della Fondazione Ahref, una sorta di guida alla “democrazia liquida” per i lavori parlamentari con una efficace analisi dei rischi e delle opportunità offerte dal web alla nuova richiesta di partecipazione dal basso.
  • Lo studio offre una sintetica elencazione dei sistemi e delle piattaforme online usate per la democrazia elettronica correttamente intesa, e cioè per informarsi, confrontarsi e decidere: le tre principali caratteristiche dell’esercizio di ogni democrazia che voglia definirsi tale.
  • Parafrasando la celebre affermazione di Lawrence Lessig “Code is law”, possiamo dire che tali piattaforme possono favorire l’interesse dei cittadini a partecipare nella cosa pubblica, e migliorare i “codici della convivenza”, un’idea antica quanto la diffusione delle prime reti civiche californiane, dal Berkley Community Project del 1973 in poi.
  • Ma l’interesse delle istituzioni verso i Media civici è volto a individuare nuove modalità di potenziamento dell’attività parlamentare e non a sostituirla.
  • Le problematiche di un approccio del genere sono diverse e riguardano l’accessibilità, l’usabilità, la capacità e le risorse disponibili per chi vuole impegnarsi in un processo costituente.
  • Inoltre, al netto delle preoccupazioni derivanti dal digital divide, molti hanno esplicitato la preoccupazione di un’idea salvifica della tecnopolitica e il rischio che con l’uso di tali strumenti si sviluppino aggregazioni chiuse e ideologiche di minoranze che non comunicano tra loro, oppure di gruppi di interesse in grado di influenzarne i processi.
  • Tuttavia l’importanza del framework concettuale dei media civici sta nel riconoscimento che le forme delle democrazia e le forme della comunicazione coincidano, e che con l’evoluzione degli strumenti di comunicazione anche le forme della rappresentanza e della democrazia vadano aggiornate.
  • E il loro uso manifesta una consapevolezza: prima di esprimere qualsiasi posizione è importante avere un’ampia base di conoscenza. “Conoscere per deliberare” era il motto del presidente Einaudi.

Conclusioni

  • Se facciamo un salto indietro nella storia possiamo ricordare che Solone, il grande riformatore greco, appellava i suoi concittadini nell’agorà e nell’ecclesia, “il governo in pubblico”, che Pericle usava la sue doti retoriche e poetiche per favorire la comprensione delle proprie proposte e persuadere i suoi concittadini, e che Cesare, invece, con gli Acta Diurna, il primo quotidiano della storia, raccontava al popolo quello che accadeva nei sancta sanctorum del Senato.
  • Oggi queste tre modalità di esercizio della democrazia, questi tre approcci, pur provenendo da “personaggi tirannici” e populisti, rappresentano bene tre elementi coessenziali di quella che noi definiamo democrazia, e cioè la pubblicità delle leggi, la chiarezza della loro esposizione, la trasparenza della loro comunicazione.
  • Tre elementi che, fusi insieme, rimandano a un uso corretto e non propagandistico delle tecnologie digitali piegate alla democrazia digitale.
  • Nel tempo, abbiamo imparato che differenti mezzi tecnologici potevano potenziare le dinamiche comunicative dei paesi democratici: senza il ciclostile non avremmo avuto il movimento per il suffragio universale, così senza la stampa, radio, la tv e Internet non avremmo conosciuto quello che accadeva nelle chiuse stanze dei parlamenti.
  • Oggi con Internet, non solo possiamo rivendicare il diritto a informarci e a essere informati, ma anche il diritto a partecipare a scelte e decisioni, contandoci.
  • Perché non farlo?
  • È stato detto che la democrazia parlamentare rappresentativa è un regime imperfetto, ma il migliore che abbiamo sperimentato.
  • Oggi possiamo legittimamente aggiungere: “Finora”.

Bibliografia essenziale

  • [1] Sara Bentivegna, 2002, 2006, 2013
  • [2] Franco Carlini (Internet, pinocchio e il gendarme. Le prospettive della democrazia in rete, Manifestolibri 1996)
  • [3] Stefano Rodotà (Tecnopolitica, 1996)

[Pubblicato per la prima volta in “Un dizionario hacker”, 2014]

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